IL BACHERO A CURA DI GIANNI COLLEDANI
Trani è una nota città di mare pugliese, equidistante da Barletta e da Bisceglie, sita in una zona di antica vocazione vitivinicola e olearia. Proprio da Trani, da secoli legata a Venezia da interessi commerciali e da legami di amicizia, mossero dopo l’Unità d’Italia, verso la Lombardia, il Veneto e il Friuli intraprendenti commercianti e rivenditori di olio e di vino, aprendo spacci e mescite che ben presto conobbero una straordinaria fortuna. La gente battezzò subito questi locali bacheri o bacari dal nome del dolce e amabilissimo vino che si vendeva, tipico della zona di Manduria e di Sava, il bacaro appunto, legato forse filologicamente a Bacco. In altre parti del Nord Italia, penso a Venezia, Milano e alla Lombardia in generale, gli stessi locali vennero chiamati invece trani quasi a sancire l’indissolubile legame tra il prodotto venduto e il luogo di provenienza del medesimo. Nel 1892, dopo aver venduto anni prima a Trani le sue cinque paranze, approdò da Codroipo a Spilimbergo Antonio Laurora, marinaio di professione e già attendente cuoco di un ammiraglio, che comperò per 10mila lire un’osteria a ridosso del corso, tutta da ristrutturare e rilanciare che chiamò, in omaggio alla sua terra, “Alla città di Bari”. Era il 1897. Proprio in quell’anno, da Maria Azzariti nacque Luchino, ultimo di sei figli, che nel 1923, alla morte del padre, rilevò l’attività facendo compiere al Bachero un salto di qualità, ormai non solo mescita di vino e olio, ma anche trattoria popolare con trippe, polenta e baccalà. Si rivelò subito una mossa vincente. Il successo di vini e olio pugliesi fu enorme in città, considerando che, nel frattempo, anche altri bacheri avevano aperto i battenti, gestiti ovviamente da pugliesi di Trani e dintorni: i Gargiulo, i Sasso, i Porcelli, i De Lucia, spesso imparentati tra loro. Luchino, accorto uomo d’affari, affabile e gentile, calamitava gli avventori offrendo piatti genuini a prezzi molto contenuti. Era il massimo per gente semplice che, specialmente il sabato, giorno di mercato, calava dalle vallate per i consueti acquisti e per “rifarsi” lo stomaco in epoche notoriamente di magro fisso e di colesterolo assente. Luchino in persona gestiva gli affari e contattava i fornitori pugliesi e siciliani. I fusti di olio venivano depositati in una vecchia cantina della Valbruna e le grandi botti di aleatico, malvasia, marsala e zibibbo, lo ricordo molto bene, venivano fatte rotolare lentamente nella grande cantina di una sua casa in via Gradisca (oggi via ReIl Bachero di Spilimbergo ha 120 anni Luchino Laurora (1897-1993), indimenticabile proprietario e gestore del Bachero fondato dal padre Antonio nel 1897. Sul pavimento del Bachero è stato raffigurato in mosaico un baccalà. A esso si devono in gran parte la fama e la fortuna del locale. 26 pubblica n. 2) di fronte al mulino Prussia/Gridello, casa sul cui frontespizio appariva, pur sbiadita, la scritta «Ditta Ant. Laurora deposito vini olio d’oliva». Il Bachero era il primo e il più popolare ritrovo del paese, basti pensare che negli anni ’30 riuscì a toccare punte di spaccio di 1.200 ettolitri di vino l’anno. Per snellire il traffico, su un’apposita rastrelliera, appesi a una rincja, stavano dei bicchieri numerati da 1 a 45, a disposizione dei clienti più … affezionati. Trippe, baccalà e polenta giravano in proporzione, con tutto l’impegno che c’era dietro: trippaioli a pulire, mugnai a battere merluzzi e a macinare granoturco e cuochi a cuocere e spignattare sotto l’oculata regia di Anita, Beatrice e Bettina. Sior Luchino, ritiratosi nel 1965 (e deceduto nel 1993) alla bella età di 95 anni, lasciò il locale in mano a forze nuove. E mentre in regione quasi tutti gli altri bacheri andavano sparendo, questo fioriva. Tale era ed è la fama del Bachero che, quando studiavo a Trieste il professor Gaetano Perusini, docente di tradizioni popolari, saputo che venivo da Spilimbergo, mi disse: «Ah, Spilimbergo. Sarà anche città famosa per il mosaico ma a me interessa più per il Bachero e per il falò epifanico di Gigio Tonus!». Dal 1993 al 1995 il Bachero è stato sapientemente restaurato dai nipoti Luchino e Lucio. Ormai dal 1974 è gestito, nel segno e nel rispetto della tradizione, con passione ed entusiasmo, dalla famiglia Zavagno di Istrago, prima dai nonni Fulvio e Bianca e ora da Enrico e Graziella, assieme ai figli Michele e Stefano. Una bella storia che dura da 120 anni e che s’interseca con la microstoria di tanti beltramini e non che, chissà quante volte, sono entrati e usciti dalle due porte del Bachero, tra vicolo Chiuso e via Pilacorte. Una storia che ci piace immaginare animata dal vociare lieto dei commensali chini sui tavoli, assorti nella profana e immutabile liturgia del cibo e del tai, sotto il vigile ritratto a mosaico di don Antonio Laurora, fondatore e nume tutelare del locale. Una storia caratterizzata anche, e forse soprattutto, dall’inconfondibile e pregnante aroma del baccalà che ancor oggi, specialmente ai nuovi clienti che arrivano nel centro storico, indica la via e il sito meglio di dozzine di frecce direzionali e di insegne luminose. Come dire che a Spilimbergo si arriva in macchina e al Bachero… a naso! Insomma il Bachero è il Bachero, materializzazione del sogno di un marinaio di Trani che, venuto “in coppa” in cerca di miglior fortuna, trovò anche fama e meritato rispetto. A modo suo un patriota che, grazie a olio e vino, forse contribuì a fare gli Italiani più di quanto non abbiano contribuito a farli Cavour, Mazzini e Garibaldi.
Gianni Colledani