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Squadra_Boscaioli
14 Otubar 2019

Il viaggio del legno via acqua Boscadors, menaus, ciatârs.

Di Pietro Piussi – Tiziana Ribezzi

Nuove tecnologie e nuovi materiali sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana, ma l’importanza della “risorsa legno” è sempre sotto i nostri occhi: mobili, pavimenti, serramenti della casa, legna da ardere o pellets  per il riscaldamento, carta di libri e giornali ottenuta dalla cellulosa, indumenti fabbricati con la viscosa anch’essa ricavata dal legno. Fino a 70-80 anni or sono non solo il legno era prezioso per costruire carri agricoli o imbarcazioni, ma nelle case di campagna gli uomini intagliavano o scolpivano per ottenerne oggetti necessari al funzionamento dell’azienda agricola e alla famiglia. E non dobbiamo dimenticare che Venezia si regge grazie alle sue palafitte che tutt’oggi assorbono i pali ricavati dal pino nero.
Prima di essere un materiale lavorabile e fruibile il legno compie un “viaggio” che inizia dal bosco. Le distanze dal bosco alle segherie o ai luoghi di utilizzo venivano coperte con mezzi diversi e vedevano impegnati lavoranti addetti a specifiche operazioni; ricordiamo che il territorio un tempo era quasi totalmente privo di strade. Le fustaie delle zone alpine fornivano essenzialmente legname di grosse dimensioni destinato a fornire travi e toppi da sega, i boschi cedui di faggio, carpino e querce la legna da ardere o per carbone. Abbattimento degli alberi e successivo allestimento - taglio dei rami, sezionatura in toppi (tais), scortecciatura - erano compito dei boscaioli (boscadors) che per smuovere i toppi e trascinarli per brevi tratti si avvalevano dello zappino (sapin), attrezzo che termina con un uncino con cui ci si aggancia al toppo per movimentare, tirare e spingere. Non appena era possibile il legname veniva fatto scivolare a valle lungo canaloni naturali (mortôrs) oppure in canali artificiali (lissis) costruiti con i tronchi stessi.
Il legname giunto così a valle veniva raccolto in ordinate cataste (cancei) accanto al corso d’acqua la cui portata sarebbe aumentata in autunno e in primavera: quest’acqua avrebbe costituito la via di trasporto. I boscaioli addetti a questo lavoro, i menaus, organizzati in squadre, si distribuivano lungo il corso d’acqua. Aveva quindi inizio la menade: il legname veniva gettato nel torrente e i menaus ne seguivano lo spostamento e provvedevano a che nelle strettoie della valle i toppi non si incastrassero tra di loro o lungo le sponde, problema di scarsa importanza quando la fluitazione riguardava la legna da ardere costituita da pezzi di piccole dimensioni. I menaus, che spesso dovevano lavorare in acqua, indirizzavano i pezzi di legno in movimento con i sapins o con gli anghîrs, pertiche munite a una estremità di un ferro conformato rispettivamente a punta per spingere e a uncino per tirare. In un punto prefissato e attrezzato allo scopo, il viaggio dei tronchi veniva arrestato mediante uno sbarramento filtrante (roste): una linea di cavalletti (cavalez) collocati attraverso il torrente e collegati da pertiche orizzontali (scalons) che deviavano l’acqua.
I menaus portavano a terra il legname, ma in alcuni casi i toppi da sega venivano istradati in brevi canali verso piccoli bacini prossimi ai piazzali delle segherie dove venivano accatastati e successivamente lavorati nella segheria o assemblati a formare zattere.
La fluitazione libera spesso doveva essere agevolata aumentando temporaneamente la portata del corso d’acqua con piene artificiali. La valle veniva sbarrata con una diga (stue o siarai) costruita con legname e pietre così da creare un piccolo invaso. Lungo la parte centrale della stue si apriva una “finestra” provvista di un portellone (portèl) incardinato su un lato: quando l’invaso era pieno, veniva spalancato consentendo la rapida e potente fuoriuscita dell’acqua. Questa operazione avveniva dopo che il legname era stato gettato nel letto del torrente a valle della stue. La piena artificiale faceva galleggiare il legno e lo trascinava a valle per un certo tratto. La velocità dell’acqua era superiore a quella del legno così che questo dopo un po’ si trovava di nuovo a secco. Era necessario riempire di nuovo la chiusa e quindi provocare una nuova piena; il legname si spostava così per tratte successive, con un processo che si ripeteva più volte.  
I corsi d’acqua costituivano l’unica via percorribile per il legname, sia in montagna che in pianura. I fiumi Tagliamento, Isonzo, Cellina, Stella erano quindi percorsi da zattere o da imbarcazioni che trasportavano legno.
La zattera (zate o ciate) formata da toppi, travi oppure tavole, era il mezzo con cui avveniva il trasporto del legname sulle lunghe distanze per via d’acqua: queste venivano assemblate in invasi costruiti presso le segherie o presso gli scali del legname giunto attraverso la fluitazione sciolta. La zattera veniva costruita accostando e unendo tra di loro toppi, travi o, soprattutto, tavole. Questi elementi venivano collegati da ritorte (tuartes) di nocciolo che, una volte sfibrate, potevano essere infilate facilmente nei fori praticati con una trivella (foradorie). Oltre alle ritorte venivano utilizzati solo chiodi e cunei di legno.
Le zattere di tavolame erano articolate in quattro moduli lunghi circa 4 metri ciascuno così che la lunghezza totale era di circa 16 metri. Zattere con forma e struttura particolare venivano costruite anche per il trasporto della legna da ardere. La zattera era completata da tavole (batei) incernierate su un lato del natante e, quando la zattera strusciava sul fondo, posizionate per convogliare una certa quantità d’acqua sotto la zattera e favorirne il galleggiamento e lo spostamento.
L’equipaggio - costituito da tre o quattro uomini (ciatârs o zatârs) per un primo tratto, poi solo due dove il percorso diventava più agevole era dotato di accetta, anghir e foradorie per eventuali riparazioni e di una fune, necessaria a ormeggiare la zattera quando faceva scalo lungo il fiume o, come accadeva nel tratto finale del Tagliamento, veniva trascinata da uomini o cavalli.
Il viaggio lungo il Tagliamento si concludeva nei porti di Latisana o, a poca distanza, di Pertegada; quindi proseguiva con convogli di zattere trainate lungo canali di alzaia per altre località, soprattutto Venezia, oppure sui trabaccoli - navi da trasporto atte alla navigazione in mare -, ognuno dei quali poteva accogliere il legname di sei-dieci zattere.
Il sistema fluviale Tagliamento - Fella era di gran lunga il più rilevante nella Regione, ma vi erano anche altri sistemi. Nel Friuli occidentale il legname proveniente dall’area prealpina e dalla parte orientale del Cansiglio, prevalentemente legna da ardere, proseguiva, come si è visto, lungo canali e in parte su carri. Le stele da cui si ottenevano i remi necessari a Venezia, venivano trasportate alle pendici del massiccio, quindi a un porto lungo il Livenza e da qui, con i “trabaccoli”, il viaggio proseguiva per via d’acqua fino all’Arsenale veneziano. Una parte del legname veniva trascinata da uomini o buoi fino al lago di S. Croce, poi lungo un canale artificiale scendeva al Piave e da qui, assemblata in zattere, proseguiva fino alla laguna di Venezia.
Il Livenza era percorribile con zattere all’inizio dell’Ottocento già a breve distanza dalle sorgenti situate ai piedi del Cansiglio. Per il legname proveniente dal bacino dell’Isonzo, sia di conifere che di faggio, ricavato soprattutto dai boschi della sinistra dell’Isonzo - Panoviz, Piro e Tarnova, ora situate in Slovenia. La destinazione era, in parte, Trieste.
Dalle valli del Torre e del Natisone la legna da ardere giungeva al mercato friulano e Udine ne assorbiva la maggior parte. Le imbarcazioni trasportavano la legna da ardere fornita dai numerosi boschi della pianura friulana e destinata a Venezia e a Trieste, ma le latifoglie di grosse dimensioni venivano impiegate nel cantiere navale di Precenicco, non lontano dalla foce del fiume Stella.

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